“Noi saremo tutto”
pubblicato qualche anno fa, in realtà è la logica prosecuzione di
“One big Union”. Questa volta le lotte sindacali si spostano nei
porti di Seattle, San Francisco e New York. La vicenda si sviluppa
dagli anni venti per oltre trent'anni e il protagonista, Eddie Florio,
italoamericano laido e corrotto che proprio sullo sfruttamento degli
operai portuali ha fondato la sua fortuna, ci accompagna in una
minuziosa ricostruzione dei fatti e personaggi storici che trova
nelle descrizioni metaforiche la sua vera forza espressiva.
Evangelisti sembra non voler fare prigionieri, l'America che ci
descrive sembra senza speranza di salvezza e redenzione, incatenata
alle medesime contraddizioni che stanno alla base della sua stessa
creazione. Corruzione, tradimenti, razzismo, femminicidio, tutto
concorre alla disgregazione di una società che tocca il suo culmine
nella caccia alle streghe comuniste. Eddie Florio si muove a suo agio
in questo lerciume di cui lui è parte integrante, misogeno e
violento, incapace di provare sentimenti, sarà debole con i forti e
sadico con i deboli specie se immigrati. Una lettura scorrevole per
un tema impegnativo, quasi una storia epica come l'avrebbe raccontata il
grande Sergio Leone. Consigliatissimo.
domenica 31 marzo 2013
venerdì 15 marzo 2013
Che idea morire di marzo, le poesie, le lettere, i ricordi per Fausto e Jaio
L'importanza di una lapide
Mio
caro unico sopravvissuto figlio,
sono
andato a Mount Vernon il 7 agosto 1971, per visitare la tomba
dell'anima mia, che i nostri guardiani hanno ucciso con gelido
disprezzo della vita.
La
sua tomba avrebbe dovuto essere dietro quella di tuo nonno e di tua
nonna. Ma non sono riuscito a trovarla. Solo erba falciata. La storia
del nostro passato. Ho mandato al custode del cimitero un assegno in
bianco per una lapide – e per altri due posti – col
sangue agli occhi!!!
George
L. Jackson
Questi sono solo alcuni dei bigliettini lasciati dai giovani, in modo particolare in via Mancinelli, nei giorni sucessivi il 18 marzo. Chi fosse interessato all'intero volume può scrivermi a questo indirizzo stefanozanolli1@alice.it sarò ben felice di inviarlo in formato PDF.
lunedì 11 marzo 2013
Thelonious Monk - Alone In San Francisco
Non sono particolarmente appassionato di musica
jazz, ma da sempre Thelonious Monk è tra i miei pianisti preferiti.
Volevo consigliare l'ascolto di questo solo album registrato nel
lontano 1959. Si tratta di pura magia tradotta in musica! Questo
disco nasce in un periodo, la fine degli anni ’50 e l’inizio dei
’60, molto importante e prolifico per Monk, che vede
finalmente acclamato sia dal pubblico sia dalla critica il proprio
particolare modo di suonare. A tal proposito riporto l'ottima
recensione che ho recuperato in rete:
Cosa fa di
Thelonious Monk Thelonious Monk? Le partiture ambigue a metà strada
tra melodia e stridore; uno stile rigido e compartimentato; una
creatività che non teme la sindrome del pentagramma e confeziona
strumentali sublimi con una naturalezza disarmante; il fascino
sottile di una musica che prima di diventare esposizione corale è
sussulto in solitaria, riflessività, introspezione. C'è una
discografia solista nutrita quanto necessaria a dimostrazione, quasi
a sottolineare che è nella forma più scarna possibile che risiede
davvero la poesia di Monk. Composizione e scrittura prima che gesto
tecnico, personalità che oltrepassa l'imborghesimento istituzionale
del jazz per trasformarsi in una fissità stilistica quasi immutabile
e peculiare. Da Thelonious Himself – pubblicato due
anni prima di Alone In San Francisco – in avanti il
suono del pianista americano trova un baricentro fatto di distonie,
ritmiche pacate, temi immediatamente riconoscibili. Frutto di un
lavoro di cesello sulle atmosfere che è profondamente legato
all'intuizione e al fraseggio più che al virtuosismo, a un pianismo
che di lì fino alla morte del musicista – avvenuta nel 1982 –
non cambierà quasi più.
La fine degli anni cinquanta e l'inizio dei Sessanta
rappresentano per Monk il periodo più prolifico e fortunato della
carriera, finalmente vissuto al centro dell'attenzione del pubblico e
lontano dalle invettive aspre dei critici più restii a
istituzionalizzare un sentire jazzistico così particolare.
Universalmente riconosciuto come una delle personalità artistiche
più eclatanti, grazie una proposta musicale slegata dai canoni
estetici del tempo – il be bop, l'impegno politico, il free
che verrà – e a un carattere solitario e stravagante. Una nota
biografica, quest'ultima, sintetizzata perfettamente dalla musica di
Alone In San Francisco, un sentire misurato, di poche
parole ma al tempo stesso riconoscibile. Che lo si affronti partendo
dallo “scherzo” di Blue Monk o dalla raffinatezza di Ruby
My Dear poco importa: l'intimismo rarefatto e meravigliosamente
“altro” messo in mostra trasforma i due brani – e lo stile che
li contraddistingue - in classici, oltre che in termine di paragone
per tutta la produzione a venire del Nostro. Come il resto del
programma, che a vederlo accadere in quel modo così goffo tra
picchettate “grossolane” e svisate – cercate un qualsiasi
filmato su You Tube e capirete –, non ti spieghi come possa uscirne
tutta quella poesia.
Eppure è così. Ce lo conferma Round Lights
con il suo blues “svirgolettato”, lo ribadisce Pannonica a
suon di scale e cambi di tono, lo sottolinea la conclusiva
Reflections tra timbri variabili e malinconie che si
rincorrono. Mentre BlueHawk, con il tema composto soltanto da
quattro note, ci illustra brevemente pregi e difetti – pochi –
della formula di Monk: immediatezza e banalizzazione delle formalità,
per indagare, invece, le gradazioni di colore. Nei quarantacinque
minuti del disco ci si imbatte anche in quattro riletture che non
fanno che ribadire la statura artistica del pianista. Everything
Happens To Me è una cover di Matt Dennis che rimpolpata con i
fasti dell'improvvisazione, diventerà un evergreen dei concerti del
pianista; You Took The Words Right Out Of My Heart è uno
standard ripreso anche da Benny Goodman; Remember di Irving
Berlin è un classico di Ella Fitzgerrald qui swingato e “espanso”;
There's Danger in your Eyes, Cherie è un brano anni '20-'30
che Monk trasfigura e modernizza rendendolo quasi riconoscibile.
Fabrizio Zampighi
domenica 10 marzo 2013
Yuri Herrera - Segnali che precederanno la fine del mondo
Esiste una leggenda appartenente alle civiltà
precolombiane prosperate in Messico che racconta di un luogo chiamato
Mictlàn. Esso era considerato il livello inferiore del mondo
sotterraneo, quello che noi chiamiamo comunemente inferno. Lo
situavano a nord, nelle terre che oggi conosciamo come gli Stati
Uniti d'America. Era un luogo maledetto e allo stesso tempo agognato,
per raggiungerlo bisognava superare nove tappe o prove. Un impresa
che solo eroi mitici potrebbero affrontare, non certo un' esile
ragazzina messicana, Makina che parte dal suo villaggio, su richiesta
della madre alla ricerca del fratello sperduto nel grande e
pericoloso nord. La storia sviluppata con grande perizia minimalista
da Herrera è una sorta di narco-fiaba. Tutto procede come in sogno,
case basse cieli luminescenti, strade polverose, fanno da sfondo a un
Messico dominato da bande di narcotrafficanti a loro modo surreali ed
improbabili. Vivido e nitido il rapporto isterico di
attrazione-respingimento tra i due paesi confinanti. Risulta evidente
il percorso iniziatico della giovane eroina (figura appartenente alla
tradizione messicana), che quasi ricalcando le tappe di una pseudo
Divina Commedia deve superare nove prove, quanti sono i capitoli di
questo breve romanzo. Solo allora potrà fare ritorno e sarà
finalmente una persona migliore. Una vicenda dalla trama esile molto
ben scritta che trova nel rovesciamento del binomio Dante –
Beatrice, ( Makina – fratello) più di un motivo d'interesse. Una
nuova figura di donna sta nascendo nel mondo latino americano.
Yuri
Herrera è nato ad Actopan, in Messico, nel 1970. Ha studiato
Scienze Politiche in Messico e Letteratura negli Stati Uniti. Con il
suo primo romanzo
La ballata del re di denari ha vinto, nel 2003, il Premio
Binacional de Novela "Border of words", e nel 2009 in
Spagna il premio "Otras voces, otros ambitos",
confermandosi come uno degli scrittori messicani più promettenti.
Segnali che precederanno la fine del mondo è il suo secondo romanzo.
domenica 3 marzo 2013
Valerio Evangelisti - One Big Union
Ho trovato “One Big Union” di Valerio
Evangelisti una lettura quasi necessaria al giorno d'oggi. In questo
romanzo si possono trovare elementi di storia di quel movimento
sindacale nato negli USA del primo novecento conosciuto come
Industrial Worker of the World, sorto dalle ceneri del più
elitario Knights of Labour. Questo
nuovo tipo di sindacato era aperto a qualsiasi tipo di lavoratore,
compresi i migranti non regolari, a quei tempi completamente
indifesi. Tutti i lavoratori erano considerati uguali per
quell'organizzazione qualsiasi mansione svolgessero e la parola
d'ordine era: An injury
to one is an injury to all ( Un torto a uno è un torto a tutti).
Come scriveva Mario Tronti:
“ai capitalisti fa
paura la storia degli operai, non fa paura la politica delle
sinistre. La prima l’hanno spedita tra i demoni dell’inferno, la
seconda l’hanno accolta nei palazzi di governo“.
Robert
W. Coates è un giovane meccanico americano decisamente razzista e
nazionalista con l'ossessione del mito della famiglia. Agenzie
private al soldo di corporazioni padronali (da una di queste nascerà
in seguito l'FBI), lo assumono con lo scopo di infiltrarlo
all'interno dei vari movimenti sindacali ed operai. La vicenda che si
sviluppa per oltre un cinquantennio da fine ottocento fino agli anni
trenta del novecento è veramente avvincente e coinvolgente.
Consiglio la lettura a chi ama il romanzo storico ma anche a chi ama
il noir.
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