Jo ed io percorrevamo la strada principale di un
villaggio composto unicamente da case costruite in legno.
L'architettura di quelle costruzioni poteva sembrare quella tipica di
certe cittadine del nord America o forse del Canada. Case il cui
rivestimento esterno era composto di assi di legno dipinte di bianco
con tetti molto spioventi, come è normale in località dove nevica
in modo copioso. Il cielo di un azzurro intenso quasi accecante. La
strada era deserta e non c'era nessun tipo di veicolo parcheggiato a
lato dei marciapiedi o nei bei cortiletti fioriti. Le abitazioni non
erano certo abbandonate, prova ne era la cura con cui erano tenuti
giardini e davanzali, quasi ovunque ricolmi di fiori dai colori
vivaci. In fondo alla strada sorgeva, su una dolce collina, una bella
villetta che si sviluppava su due piani, anch'essa costruita in legno
dipinto di bianco. Io indicavo a Jo che quella costruzione era la
nostra destinazione. Giunti che fummo davanti all'ingresso, bussammo
utilizzando un pesante battacchio in bronzo che però
inaspettatamente emise non il suono sordo che ci si potrebbe
aspettare ma bensì quasi una melodia surreale che mi sembrò ancora
più strana in contrasto al totale silenzio che pervadeva l'intera
situazione che stavamo vivendo. Finalmente la pesante porta in legno
massiccio si aprì e una piccola donna si affacciò all'ingresso. Non
riesco certamente a descrivere lo stupore che provammo nel
riconoscere in lei Lhasa, cantante nomade di origine
statunitense-messicana ma culturalmente figlia del mondo tutto. La
donna sembrava felicissima di vederci e ci trattava come vecchi
amici, ci pregò di entrare nell'abitazione e immediatamente
realizzai con grande stupore che sia io che Jo comprendevamo
chiaramente tutto ciò che lei diceva senza nessuna difficoltà. In
quale idioma si stava esprimendo la cantante? Inglese , Spagnolo o
forse Francese? La cosa non sembrava avere importanza. Lhasa ci
descrisse tutta l'abitazione che consisteva in due piani uno dei
quali era da considerare come un'ipotetica zona notte che si trovava
al piano superiore. Il piano inferiore che corrispondeva a il livello
dell'ingresso ci fu descritta come la zona giorno, dove su un piano
leggermente rialzato di qualche gradino era visibile la cucina con un
enorme tavolo di legno massiccio. Legno, tanto legno, la presenza
importante di questa sostanza la ricordo chiaramente. Anche a livello
dell'ingresso dove si sviluppava una grande sala abbellita da
divanetti e poltroncine realizzate in bamboo, il legno in ogni sua
declinazione la faceva da padrone. Un piccolo palco ricolmo di
strumenti musicali in un angolo della sala non lasciava dubbi che
quella casa fosse l'abitazione di un musicista in attività e il
quantitativo di divanetti e poltroncine disposti nelle vicinanze
del palco confermavano anche l'esistenza di un pubblico per quelle
che potevano sembrare esibizioni domestiche. Lei sembrava felice e
notò il nostro turbamento, subito ci rassicurò dicendo che tutto
andava bene, che era felice di poter finalmente fare quello che amava
di più: suonare musica con i tanti amici che venivano a trovarla e
poi insieme cucinare squisiti pranzetti. Ci salutammo come vecchi
amici e finalmente tranquillizzati e sereni riprendemmo la stradina
che scendeva verso la bianca cittadina.
**************
<<Stefano...Stefano! Svegliati! Dai alzati che comincia a
nevicare è pomeriggio inoltrato e sai che domani dobbiamo lavorare e
che se dormi tutto il giorno poi questa notte la passi in bianco e
domani sei stravolto.>>Jo aveva ragione ma mi sentivo spossato
in quei primi giorni di gennaio del 2010 e davo la colpa a qualche
merdoso virus influenzale. Quello strano sogno della cantante era
perfettamente vivido e chiaro in ogni particolare. Lo raccontai
immediatamente a Jo prima di scordarlo come in altre occasioni mi era
capitato. Lei mi ascoltò con pazienza, come del resto fa sempre
quando le racconto i miei sogni. Non espresse commenti anche se la
vidi molto perplessa, del resto era comprensibile un certo
smarrimento, per quale motivo avrei dovuto sognare quella cantante
che tra l'altro conoscevo da poco e neanche in maniera esaustiva? Non
conoscevo niente di lei se non qualche canzone distrattamente
ascoltata su Youtube. La grande libreria ricolma di volumi attirò il
mio sguardo e tra i tanti presenti scelsi un libro sugli
antichi miti greci e romani. Volevo svagarmi e allontanare da me quel
sogno che cominciava a diventare un ricordo ossessivo, ma presto il
sonno ridivenne padrone dei mie sensi.
L'uomo bianco dai capelli lunghi che trovava riparo
sotto la vecchia tettoia di lamiera sembrava annoiarsi. Il Messico del
nord non è un posto accogliente quando il sole è alto e le mosche
scambiano il tuo volto per il culo di una vacca. Una famiglia di
hippy americani fermò il suo variopinto furgone nei pressi della
povera locanda gestita da Rodriguez suo vecchio amico. I figlioletti
dei due americani si fiondarono immediatamente verso il gruppo di
simpatici asinelli che trotterellavano nei pressi del locale. Una di
loro, molto vivace, voleva assolutamente cavalcarne uno e il padre
dopo un breve colloquio con Rodriguez acconsentì con una certa
preoccupazione.
<<Guarda guarda...chi incontri nel posto che
meno ti aspetti! Max cosa fai qui? Per caso mi stavi aspettando?>>
Una donna era apparsa dal nulla. Una donna che Max conosceva:
Franziska occhi di smeraldo e cuore di diamante. No, non era un buon
segno, la sua apparizione non era un buon segno.
<< Sei qui per la bambina, non è vero? Pensi
di poter fare qualche cosa per cambiare il suo destino! Sei il solito
illuso!>> I suoi occhi verdi sfavillavano in riflessi metallici
e le mosche cadevano al suolo morte soltanto sfiorandola. Il lungo
vestito nero rifletteva più luce di quanto facesse il volto
bianchissimo e per nulla accaldato. Tra le mani tratteneva una
funicella spessa come un mignolo, non molto lunga, forse una
quarantina di centimetri e da una tasca del vestito sporgevano delle
lunghe forbici da sarta. L'asinello con la bambina guidato da
Rodriguez prendeva la strada del deserto. Lei si voltava verso i
genitori e salutava sorridendo con la manina. I genitori
rispondevano:
<< Bye bye Lhasa!>> Sembravano proprio
una famiglia felice.
<< Aspettami qui torno subito.>> Max si
alzò dal ceppo per spaccare la legna su cui era seduto e si avviò
in direzione della locanda. Tornò dopo pochi minuti con una cassa di
birre e una bottiglia di tequila. Franziska amava bere e lui lo
sapeva, diventava fragile quando beveva.
<<Dimmi Franziska...dmmi il tuo vero nome...>>
La donna accennò un sorriso e disse:
<<Lo sai chi sono, sono Atropo
“l'irremovibile”.>> Si fissarono a lungo negli occhi e Max
vide una ragazzina che cantava nei Pub di San francisco, una
ragazzina che tutti amavano e rispettavano, vide i vecchi mariachi
della Plazuela di Guadalajara emozionarsi per il canto di una giovane
donna. Vide decine di migliaia di cuori palpitare di commozione per
un'artista che era in grado di scegliersi un pubblico affezionato
anche quando la vita la stava abbandonando.
<< Non è certo Apollo che ti manda, tu sei
solamente una scintilla elettrica scaturita dalla mente di un qualche
essere dormiente, ma questa volta sarò clemente e concederò del
tempo extra a questa bambina a cui tieni tanto. Il mio numero è tre
e tre volte nove sarà la mia concessione.>>
Max e Franziska osservarono la bambina ritornare
dal deserto in cui si era avventurata in compagnia di Rodriguez e del
suo asinello, il suo viaggio poteva aver inizio.
******** **
Mi svegliai di soprassalto, lo schermo del computer
rimandava la fotografia di una bambina in groppa ad un asinello. Jo
apparve alle mie spalle e disse:
<< Stefano...quella
cantante, Lhasa, è morta la notte del primo dell'anno dopo una lunga
malattia...quello è il suo sito, mi dispiace un casino...aveva solo
37 anni!>>. Io non dissi niente, mi avvicinai alla finestra e
guardai fuori. Nevicava, nevicava moltissimo, tutto era bianco.