domenica 23 giugno 2013

Lhasa De Sela - Trasfigurazione di una cantante nomade


Jo ed io percorrevamo la strada principale di un villaggio composto unicamente da case costruite in legno. L'architettura di quelle costruzioni poteva sembrare quella tipica di certe cittadine del nord America o forse del Canada. Case il cui rivestimento esterno era composto di assi di legno dipinte di bianco con tetti molto spioventi, come è normale in località dove nevica in modo copioso. Il cielo di un azzurro intenso quasi accecante. La strada era deserta e non c'era nessun tipo di veicolo parcheggiato a lato dei marciapiedi o nei bei cortiletti fioriti. Le abitazioni non erano certo abbandonate, prova ne era la cura con cui erano tenuti giardini e davanzali, quasi ovunque ricolmi di fiori dai colori vivaci. In fondo alla strada sorgeva, su una dolce collina, una bella villetta che si sviluppava su due piani, anch'essa costruita in legno dipinto di bianco. Io indicavo a Jo che quella costruzione era la nostra destinazione. Giunti che fummo davanti all'ingresso, bussammo utilizzando un pesante battacchio in bronzo che però inaspettatamente emise non il suono sordo che ci si potrebbe aspettare ma bensì quasi una melodia surreale che mi sembrò ancora più strana in contrasto al totale silenzio che pervadeva l'intera situazione che stavamo vivendo. Finalmente la pesante porta in legno massiccio si aprì e una piccola donna si affacciò all'ingresso. Non riesco certamente a descrivere lo stupore che provammo nel riconoscere in lei Lhasa, cantante nomade di origine statunitense-messicana ma culturalmente figlia del mondo tutto. La donna sembrava felicissima di vederci e ci trattava come vecchi amici, ci pregò di entrare nell'abitazione e immediatamente realizzai con grande stupore che sia io che Jo comprendevamo chiaramente tutto ciò che lei diceva senza nessuna difficoltà. In quale idioma si stava esprimendo la cantante? Inglese , Spagnolo o forse Francese? La cosa non sembrava avere importanza. Lhasa ci descrisse tutta l'abitazione che consisteva in due piani uno dei quali era da considerare come un'ipotetica zona notte che si trovava al piano superiore. Il piano inferiore che corrispondeva a il livello dell'ingresso ci fu descritta come la zona giorno, dove su un piano leggermente rialzato di qualche gradino era visibile la cucina con un enorme tavolo di legno massiccio. Legno, tanto legno, la presenza importante di questa sostanza la ricordo chiaramente. Anche a livello dell'ingresso dove si sviluppava una grande sala abbellita da divanetti e poltroncine realizzate in bamboo, il legno in ogni sua declinazione la faceva da padrone. Un piccolo palco ricolmo di strumenti musicali in un angolo della sala non lasciava dubbi che quella casa fosse l'abitazione di un musicista in attività e il quantitativo di divanetti e poltroncine disposti nelle vicinanze del palco confermavano anche l'esistenza di un pubblico per quelle che potevano sembrare esibizioni domestiche. Lei sembrava felice e notò il nostro turbamento, subito ci rassicurò dicendo che tutto andava bene, che era felice di poter finalmente fare quello che amava di più: suonare musica con i tanti amici che venivano a trovarla e poi insieme cucinare squisiti pranzetti. Ci salutammo come vecchi amici e finalmente tranquillizzati e sereni riprendemmo la stradina che scendeva verso la bianca cittadina.
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<<Stefano...Stefano! Svegliati! Dai alzati che comincia a nevicare è pomeriggio inoltrato e sai che domani dobbiamo lavorare e che se dormi tutto il giorno poi questa notte la passi in bianco e domani sei stravolto.>>Jo aveva ragione ma mi sentivo spossato in quei primi giorni di gennaio del 2010 e davo la colpa a qualche merdoso virus influenzale. Quello strano sogno della cantante era perfettamente vivido e chiaro in ogni particolare. Lo raccontai immediatamente a Jo prima di scordarlo come in altre occasioni mi era capitato. Lei mi ascoltò con pazienza, come del resto fa sempre quando le racconto i miei sogni. Non espresse commenti anche se la vidi molto perplessa, del resto era comprensibile un certo smarrimento, per quale motivo avrei dovuto sognare quella cantante che tra l'altro conoscevo da poco e neanche in maniera esaustiva? Non conoscevo niente di lei se non qualche canzone distrattamente ascoltata su Youtube. La grande libreria ricolma di volumi attirò il mio sguardo e tra i tanti  presenti scelsi un libro sugli antichi miti greci e romani. Volevo svagarmi e allontanare da me quel sogno che cominciava a diventare un ricordo ossessivo, ma presto il sonno ridivenne padrone dei mie sensi.
L'uomo bianco dai capelli lunghi che trovava riparo sotto la vecchia tettoia di lamiera sembrava annoiarsi. Il Messico del nord non è un posto accogliente quando il sole è alto e le mosche scambiano il tuo volto per il culo di una vacca. Una famiglia di hippy americani  fermò il suo variopinto furgone nei pressi della povera locanda gestita da Rodriguez suo vecchio amico. I figlioletti dei due americani si fiondarono immediatamente verso il gruppo di simpatici asinelli che trotterellavano nei pressi del locale. Una di loro, molto vivace, voleva assolutamente cavalcarne uno e il padre dopo un breve colloquio con Rodriguez acconsentì con una certa preoccupazione.
<<Guarda guarda...chi incontri nel posto che meno ti aspetti! Max cosa fai qui? Per caso mi stavi aspettando?>> Una donna era apparsa dal nulla. Una donna che Max conosceva: Franziska occhi di smeraldo e cuore di diamante. No, non era un buon segno, la sua apparizione non era un buon segno.
<< Sei qui per la bambina, non è vero? Pensi di poter fare qualche cosa per cambiare il suo destino! Sei il solito illuso!>> I suoi occhi verdi sfavillavano in riflessi metallici e le mosche cadevano al suolo morte soltanto sfiorandola. Il lungo vestito nero rifletteva più luce di quanto facesse il volto bianchissimo e per nulla accaldato. Tra le mani tratteneva una funicella spessa come un mignolo, non molto lunga, forse una quarantina di centimetri e da una tasca del vestito sporgevano delle lunghe forbici da sarta. L'asinello con la bambina guidato da Rodriguez prendeva la strada del deserto. Lei si voltava verso i genitori e salutava sorridendo con la manina. I genitori rispondevano:
<< Bye bye Lhasa!>> Sembravano proprio una famiglia felice.
<< Aspettami qui torno subito.>> Max si alzò dal ceppo per spaccare la legna su cui era seduto e si avviò in direzione della locanda. Tornò dopo pochi minuti con una cassa di birre e una bottiglia di tequila. Franziska amava bere e lui lo sapeva, diventava fragile quando beveva.
<<Dimmi Franziska...dmmi il tuo vero nome...>> La donna accennò un sorriso e disse:
<<Lo sai chi sono, sono Atropo “l'irremovibile”.>> Si fissarono a lungo negli occhi e Max vide una ragazzina che cantava nei Pub di San francisco, una ragazzina che tutti amavano e rispettavano, vide i vecchi mariachi della Plazuela di Guadalajara emozionarsi per il canto di una giovane donna. Vide decine di migliaia di cuori palpitare di commozione per un'artista che era in grado di scegliersi un pubblico affezionato anche quando la vita la stava abbandonando.
<< Non è certo Apollo che ti manda, tu sei solamente una scintilla elettrica scaturita dalla mente di un qualche essere dormiente, ma questa volta sarò clemente e concederò del tempo extra a questa bambina a cui tieni tanto. Il mio numero è tre e tre volte nove sarà la mia concessione.>>
Max e Franziska osservarono la bambina ritornare dal deserto in cui si era avventurata in compagnia di Rodriguez e del suo asinello, il suo viaggio poteva aver inizio.


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Mi svegliai di soprassalto, lo schermo del computer rimandava la fotografia di una bambina in groppa ad un asinello. Jo apparve alle mie spalle e disse:
<< Stefano...quella cantante, Lhasa, è morta la notte del primo dell'anno dopo una lunga malattia...quello è il suo sito, mi dispiace un casino...aveva solo 37 anni!>>. Io non dissi niente, mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Nevicava, nevicava moltissimo, tutto era bianco.