Questo libretto pubblicato nella sua prima edizione
nel lontano 1964, narra l' esperienze maturate dalla giovane
studentessa Adriana, nome di battaglia “Soreghina”. La madre
Ester ci guida in questo percorso veramente emozionante ed
avventuroso di una giovane donna che trova nella Resistenza ai
nazi-fascisti la sua vera ragione di vita. Credo che sarebbe
importante per chi come noi vive la realtà di questi anni, dove
tutto sembra scontato e definitivo, e mi riferisco in particolare
alle conquiste di democrazia, diritti e libertà, affrontare letture
di questo tipo che ci costringono a confrontarci con comportamenti di
persone che hanno messo in gioco la loro vita proprio per garantire
a noi, generazioni a venire, di poter vivere da persone libere.
Ricordiamolo sempre.
Il testo che segue è un
capitolo del libro da tempo introvabile.
SOREGHINA
Lassù fra i monti, fra i rivi d'argento, c'è una capanna cosparsa di fiori; era la piccola dolce dimora di Soreghina, la figlia del sol.
“ Perché Adriana aveva scelto quel nome? Solo perché era poetico e suggestivo, perché ricordava terreni montani e grandi distese di pascoli, mormorii di fonti fra l'erba e svettar di pini verso l'azzurro. E a lei piacevano moltissimo queste cose ricche di poesia: le piaceva tutto quello che era buono e puro e bello; amava la dolcezza e la semplicità, amava la buona musica e le belle canzoni alpine, che non tramontano mai. In apparenza era una ragazza molto docile, quasi debole (avrebbe pensato qualcuno) facile da piegare. Chiudeva invece in se stessa una indomabile volontà, una tenacia, una costanza che la portavano a combattere per le sue idee fino alla vittoria, senza stancarsi mai. Qualcuno mi disse ( se non apertamente, me lo lasciò capire): - Come hai potuto permettere , come hai sopportato che tua figlia si esponesse a tanti disagi e tanti pericoli? -. Sarebbe come domandare a molte madri : - Perché hai dato il permesso a tuo figlio di andare volontario alla guerra? Perché non ti sei opposta al tuo figliolo ch'è partito missionario per l'Africa? - E forse per qualcuno non siamo vere madri, degne di questo nome, noi che non sappiamo strappare le nostre creature a una vita di pericoli ed insidie. Per molte donne amare i figli significa tenerli stretti sempre accanto, vederli, sentirli ogni momento, procurare loro tutto quanto la società sa offrire di bello e di buono, ed evitare ad essi ogni contrarietà. Ne si domandano se questa è la felicità da essi desiderata. Per me amare significa, si, voler bene...ma un bene vero, che non è uguale per tutte le creature, che qualche volta vuol, dire rinuncia e sacrificio per la conquista di un ideale. Che madre sarei stata se avessi impedito a Soreghina di seguire la sua strada, le sue aspirazioni? Rispondere ad un richiamo interiore, soprattutto quando si è giovani, e non si conoscono ancora le delusioni, quando siamo pronti ad offrire la nostra idea la parte migliore di noi stessi, è la base di una felicità che non tutti possono comprendere, anche se in fondo, è la vera giusta felicità, quella che non tradisce. E mai Soreghina desiderò di abbandonare la lotta, di ritornare alle sue tranquille giornate di studentessa, mai, malgrado le dure esperienze, non conosceva la paura o, se paura aveva, non lo lasciava vedere, cosa che conta assai di più: non tremava mai. Una volta si trovava per le strade di Novara dopo il coprifuoco Era stata una brutta giornata per la città: i tedeschi avevano dato ai cittadini uno dei loro feroci castighi esemplari. Ora le strade e le piazze erano oscurate; dalle case non trapelava il minimo raggio di luce: silenzio e solitudine assoluti fuori: in molte famiglie disperazione e lacrime. Soreghina si affrettava verso una casa amica, dove era solita dormire, ad un tratto, rasentando le case di piazza Cavour, nel buio inciampò in un corpo disteso sul marciapiede. Non gettò un urlo: non eravamo più abituate a gridare: tenevamo dentro di noi l'orrore ed il terrore. Chinandosi soreghina vide nell'ombra quattro giovani corpi allungati per terra: uno dei vari gruppi di cadaveri che i nazifascisti avevano appositamente lasciato esposti come un avvertimento. Quei morti Adriana se li portò nel cuore, ma non come avrebbero desiderato i Tedeschi: non le insegnavano la paura, non la esortarono a temere le rappresaglie. Quei morti le dissero: - Non dimenticate...non dimenticate...- Nella notte buia, sulla piazza deserta, quei morti si moltiplicavano: non due, non quattro...non cento...Erano migliaia di uomini nel fiore della giovinezza..., erano donne, vecchi, bambini, tutti quelli che la follia dei nazifascisti aveva ucciso senza una ragione, perché erano ebrei o perché non condividevano le false ideologie dei dittatori..., migliaia di corpi stesi per terra, in Italia e fuori d'Italia, sulle piazze di tutta l'Europa, migliaia di corpi con gli occhi ancora spalancati e le braccia aperte, come in croce. Ma non le facevano paura: erano suoi fratelli, erano le sue guide.”
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VIAGGI
“ Al mattino ritorna il sole quei corpi sono sempre la, terribili come la morte stessa. I passanti guardano e sembrano impassibili: l'odio che hanno dentro nessuno lo può vedere, e tanto meno i Tedeschi. Soreghina riparte verso Boca, verso i campi partigiani. Si avvia a piedi, sperando di incontrare qualche autocarro e di farsi dare un passaggio. Le poche auto erano al servizio dei Tedeschi e dei fascisti, macchine pericolose. Eppure quando ne passa una, sia pure carica di militi, non chiedere un posto non sarebbe cosa logica, e potrebbe destare sospetti. Soreghina alza un braccio e la macchina si ferma: i fascisti l'invitano a salire. Ora essi parlano e ridono e scherzano, e Soreghina parla e ride e scherza anche lei. Poi uno dei giovani dice con fare spavaldo: - Scommetto che questa signorina è una partigiana e che il suo sacco è pieno di stampa clandestina -. Lei ride, enigmatica; i ragazzi ridono e non sanno di aver detto la verità. Guai a lei se aprissero il sacco! Ma non lo faranno. Probabilmente hanno davvero un dubbio un sospetto; ma preferiscono non indagare, per conservare le loro illusioni, per poter continuare a chiacchierare cordialmente con la fanciulla. Vogliono conservare qualche speranza, finché sarà possibile: non vogliono sapere che tutti li odiano, che tutti sono contro di loro, anche questa bella ragazza dai capelli neri, che li guarda con grandi occhi chiari pieni di candore e mistero.....”